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BIOGRAFIA DI Massimo Provasi
Massimo Provasi nasce a Mirandola il 30 dicembre 1954. Nel 1976 inizia a Carpi la pratica dell’Hatha Yoga e del Karate sotto la guida del Maestro Leonello Lotti, dove ottiene buoni risultati in campo nazionale. L’interessamento alle filosofie orientali lo spingono ad avvicinarsi completamente alla pratica dell’Hatha Yoga e nel contempo a frequentare corsi formativi di Dinamica Mentale e Psicologia applicata alle arti orientali.
1981 – continua lo studio dello yoga presso la scuola Taiji Kase di Modena condotta dal Maestro Roberto Baccaro.
1982 – dopo la lettura di testi yoga si iscrive ad una scuola di meditazione yoga americana “SRF” fondata da Sry Paramahansa Yogananda che li si era trasferito e unitamente alla pratica inizia gli studi meditativi.
1983 – approda a Bologna e sotto la guida del Maestro Bruno Baleotti e del Dott. Paolo Bottazzi consegue il diploma di Insegnante di HATHA YOGA.
1984 – inizia l’insegnamento dello Yoga a Carpi e nel 1997 intraprende il rapporto di collaborazione con la palestra Aikido Carpi istituendo la “Scuola di Autorealizzazione
Yoga”, con l’intento di trasmettere una filosofia che porti ad avviare un cammino di conoscenza personale tendente ad elevare il proprio entusiasmo e trovare motivazioni utili a migliorare la propria condizione psicofisica.
1999 – consegue il riconoscimento di Insegnante di Hatha Yoga dalla UISP Discipline Orientali.
2003 – sempre dalla UISP viene autorizzato ad avviare un corso teorico – pratico per la formazione di nuovi Insegnanti Yoga.
In un costante cammino di ricerca e di studio a tutt’oggi frequenta stage e teacher training con i più qualificati maestri Yogi al mondo come Manju Jois, David Swenson, Nancy Gilgoff, Lino Miele, Kino Mcgregor, Mark Darby
Cosa scrivono di Massimo Provasi;
“LA SERENITA’ DELLE RAGIONI APPAGATE”
A ricevere nei giusti modi “la Scienza” omaggiandone le virtù,
questa volta è presente Massimo Provasi.
Pittore, incisore, illustratore, filosofo, cultore di discipline orientali, ma soprattutto “moderno biografo del cosmo”, l’artista sfrangia gli evidenti ossequi a Galileo (il “Bentornato” era però di prammatica), e da queste raffigurazioni cosmiche raggruppa, censisce, contempla e sviluppa con una abilità tecnica–artistica disposta ad emulare il raziocinio.
Nella sua bella presentazione al primo catalogo, Franco Bulfarini chiama alla ribalta niente meno che le filosofiche radici di Pascal, traendo essenze d’Esistenza ed Arte da quegli stessi fondamenti, svelandovi il “sentire del cuore”.
Come “l’incanto emozionale” essi sono percezioni del vivere che effettivamente si connettono con i lavori “informali–figurativi” di Provasi.
In effetti è un esercizio extra-accademico che accede alla meditazione ed ai flussi dell’animo, assorbendovi l’energia che costruisce il messaggio artistico voluto audace e idealistico il suo dipingere afferma Bulfarini ma c’è da aggiungere, che il giovane maestro sa bene addomesticare le forze cromatiche che escono dai suoi pennelli, spolverando poesia su tecnica e tecnica soprainventiva egli giunge così ai confini delle “lontananze disponibili”, avventurandosi come Galileo verso le riserve dell’infinito, ove egli appresta un palcoscenico di colori e di tatuaggi di superficie che ci riportano al 1609. Era l’anno in cui Galilei, scienziato del cielo approntò il suo primo osservatorio astronomico aprendo al proprio istinto curioso e alle conoscenza veritiere i misteri di nuovi spazi abitati. Se non c’era l’uomo esistevano però corpi in movimento e l’astronomo forse vedeva come Provasi oggi li sente. Le velature che compongono le tinte di astri e pianeti consegnate ai nostri occhi, sono dunque una visione aggiornata, un “silenzio dipinto” che egli fa scorrere come un film senza fine dando ai nostri occhi una trama girevole di sensazioni.
Le scene in questo Universo di realtà fantastiche non incontreranno più le proibizioni della Censura Ecclesiale, ma egli non demorde dal ribadire ingiusta ed innocua vendetta i suoi trasgressivi “Points of view”. Sono abilità coloristiche di espressione che ci accompagnano per mano al realismo apprestato dalla sua arte. Eppure, anche l’informalità più accesa abbaia vivace dalla sua materia corposa. Sono d’accordo, la patrimonialità di bellezza e di stile è un valore monetario e culturale che guarda al futuro consegnata e firmata coi gioielli della fantasia, essa coagula un retaggio immaginario che avrebbe voluto cogliere persino Galileo, acconsentendo a quei volumi e a quei colori. Nel momento in cui egli obbligò il proprio capo, abbassato sotto le pressione dell’Inquisizione sicuramente avrebbe trovato una difesa da queste “Osservazioni d’Arte”, a cui nessuno (ieri, ma specie oggi) oserebbe negare una testimonianza. La “verginità” che Provasi ha imparato a collocare nei suoi lavori è la buona palestra che garantisce il suo impegno profondo.
Siamo al momento in cui l’esperienza lascia il campo dell’ispirazione per addentrarsi nella maestria.
….BENTORNATO GALILEO: a tutti noi mancavi, ma forse anche l’entità cosmiche di Provasi ti aspettavano con tanta nostalgia.
K. Utznova Lewitt, direttrice del Museo di Arte Contemporanea di Praga.
“GALILEO PICTOR”
….Atterraggio? diremmo di no!
Ormai troppo scontate e banali sono le operazioni di “landingh”, annunciate dai comandanti dei jets, prima di mettere le ruote per terra negli aeroporti di tutto il mondo. Nessuno prova più emozioni, tanto la visone esterna è ormai piatta e massificata. Si potrebbe collocare una fotografia della Grotta Azzurra a Capri, o del Gran Canyon in Colorado in sostituzione delle aree esterne, che nessuno degna più di un consenso. Non si migliora nemmeno con “l’allunaggio”, poiché negli anni seguenti all’impresa, hanno spento all’osservatore qualsiasi luce di fantasia, “pastorizzandolo” con mille versioni dell’accaduto, includendo quella pubblicitaria. Esiste perfino qualcuno che accarezza la blasfema teoria per cui il buffo saltello di presa a contatto con la crosta lunare, sia nella realtà un falso clamoroso, realizzato in uno studio televisivo, per buggerare i sovietici e mettere la parola fine alla competizione spaziale. Dunque in passato siamo stati “deflorati” nei sogni, oltre che nelle utopie cosmiche, che sempre innaffiavamo in gioventù. Nemmeno Julius Verne avrebbe la pazienza di accompagnare i “dream makers”, per avvallare nuove avventure. Può darsi di trovarci un giorno presenti a un “marteraggio”, che ci potrebbe strabiliare, come metter pure il piede nella polvere di saturno. Potremmo chiamarlo forse saturnaggio? Altre imprese di conquiste spaziali (venere, giove, plutone, mercurio), pur facendoci bollire il sangue, come l’olio in padella, litigherebbero con le nostre età, estranee a quei momenti. Un mare di preliminari verbali, solo per dire che è bastato un’esposizione di opere pittoriche, per regalarci sensazioni che non ci saremmo mai immaginati di estrarre dagli armadi del “fuori moda” artistico che passa il convento. Massimo Provasi: una cinquantina di dipinti che colgono il pathos dell’anima, come pochi altri impianti pittorici del momento. Ci spieghiamo meglio! Valutare criticamente il lavoro di questo artista (lo confermano i visitatori delle sue mostre, liberando gesti spontanei, ammantati di fanciullezza), è come lavare il corpo dalle scorie di una fatica: sembra di aver recuperato la giovinezza. Ciò perché Provasi consegna all’occhio certi tesori, esistenti oltre i confini dell’umano. Egli arma l’osservatore della curiosità scientifica di un sì Galileo dando sfericità, proporzione e colori adeguati alla concretezza cosmica. Con lui si dispiegano le ali per un volo si indipendente, ma nel contempo illuminante, pragmatico, astronomico, religioso e pure profetico. I suoi astri, i pianeti e ogni sfera che dipinge, accudiscono alla scienza nella semplicità di un compito scolastico. Egli non vuole irretire ma semplicemente avvincere. Artista di vaglia, Massimo Provasi è capace di irrompere sul proscenio (lo faceva pure Galileo) con le sue verità osservate. Provasi si accontenta di stare in sella ai propri mondi colorati, “così che la sua verità non si scontra più con l’inquisizione, ma è certo che le banalità del “dejavu” pittorico, le sradica alle origini.
Critico d’arte – MAURIZIO QUARTIERI